
Le carceri dell’Asinara hanno segnato la storia dell’isola per oltre un secolo. Negli anni Settanta l’Asinara diventò uno dei più noti carceri di massima sicurezza d’Italia: qui furono rinchiusi terroristi delle organizzazioni eversive, boss mafiosi e criminali ritenuti tra i più pericolosi, fino alla chiusura definitiva nel 1998.
Prima del supercarcere, però, l’isola era stata colonia penale agricola e poi penitenziario destinato anche a molti banditi e detenuti sardi. In questo articolo ripercorriamo l’evoluzione del carcere dell’Asinara, dalle origini alle diramazioni più importanti (come Fornelli, Cala d’Oliva e Cala Reale), fino agli anni del 41-bis e alla trasformazione dell’isola in Parco Nazionale.
Il racconto è arricchito anche dalla testimonianza del Maresciallo Lorenzo Spanu, all’epoca capo della polizia penitenziaria sull’isola.
Oggi le ex carceri si possono visitare durante le escursioni nel Parco. Se vuoi vederle dal mare e fare soste a terra a Cala Reale e Cala d’Oliva, trovi qui la nostra escursione all’Asinara in catamarano.

Prima dell’Unità d’Italia si aprì un grande dibattito sul ruolo dei penitenziari: dovevano essere solo luoghi di detenzione oppure strumenti di recupero e rieducazione? Nel 1858, nel Granducato di Toscana, venne sperimentata una nuova formula: la colonia penale agricola, pensata per giovani detenuti (“corrigendi”). La prima esperienza nacque sull’isola di Pianosa e funzionò così bene che in poco più di un anno i detenuti passarono da 16 a 120, impegnati nei campi e nell’allevamento.
Dopo l’Unità, il modello di Pianosa venne preso come riferimento. Una circolare del Ministero dell’Interno del 1870 stabiliva che alle colonie agricole potevano accedere solo detenuti in buone condizioni, con condotta esemplare e almeno metà pena già scontata. La Sardegna fu una delle prime regioni in cui si ampliarono queste strutture, soprattutto nell’area di Cagliari e Alghero.
Nel 1885 nacque anche la colonia penale agricola dell’Asinara. A differenza di altre colonie, però, la legge istitutiva prevedeva anche un ruolo sanitario: insieme al carcere venne progettato un lazzaretto per la quarantena degli equipaggi delle navi sospette di malattie contagiose. È da qui che inizia la storia complessa delle carceri dell’Asinara.

L’idea di costruire un lazzaretto sull’Asinara affonda le radici nel XVIII secolo. Già nel 1701, dopo un naufragio, i passeggeri di una nave francese furono costretti alla quarantena sull’isola. Nei decenni successivi diverse amministrazioni proposero di realizzare una struttura stabile, ma i costi bloccarono tutto.
Si arrivò finalmente al 1885: la proposta del lazzaretto venne approvata insieme all’istituzione della colonia penale agricola. I lavori iniziarono subito e il 17 agosto dello stesso anno la nave francese Phitias fece la prima quarantena ufficiale a Cala Reale.
Alla fine dell’Ottocento il complesso era già enorme: edifici per direzione e medico, cucine e refettori per classi diverse di viaggiatori, lavanderia a vapore, ufficio postale, dormitorio per la terza classe, padiglioni per la seconda, ospedale con sala operatoria, laboratorio batteriologico e farmacia. C’erano anche depositi di carbone e disinfettanti, due cisterne per l’acqua e tre fabbricati distaccati chiamati “periodi” per le diverse fasi della quarantena.
Per anni la Stazione Sanitaria fu attivissima: ospitò civili e militari colpiti da colera, peste bubbonica e meningiti. Cala Reale divenne così un punto centrale nella storia dell’isola, a metà tra sanità e detenzione.
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Durante la Prima Guerra Mondiale l’Asinara cambiò volto: migliaia di prigionieri austro-ungarici furono deportati sull’isola e il lazzaretto si trasformò in un campo di prigionia. I primi contingenti arrivarono nell’agosto 1915; a dicembre gli sbarchi aumentarono fino a superare le 5.000 persone in pochi giorni, includendo anche donne e bambini.
Le strutture non erano pronte per numeri simili. Si costruirono accampamenti di fortuna nel sud dell’isola (Stretti, Tumbarino, Campu Perdu, Fornelli). Il colera aggravò una situazione già drammatica: morti a bordo e a terra, condizioni sanitarie terribili e fame diffusa. Solo dopo i giorni più bui l’organizzazione sanitaria e militare riuscì lentamente a ristabilire condizioni di vita più dignitose, anche creando giardini, viali e piccoli cimiteri presso le diramazioni.
Nel 1916 molti prigionieri furono trasferiti altrove; sull’isola rimasero soprattutto italiani e non ancora idonei al trasferimento. Finita la guerra, l’Asinara venne in parte smilitarizzata e la Stazione Sanitaria tornò alle dipendenze del Ministero della Sanità.
Nel 1937 arrivarono anche prigionieri etiopi e, durante la Seconda Guerra Mondiale, l’isola venne fortificata. Con la diffusione dei vaccini e il calo delle epidemie, i lazzaretti persero la loro funzione: la direzione sanitaria fu soppressa e la struttura cadde progressivamente in disuso.

Con la legge del 28 giugno 1885 n. 3183 lo Stato espropriò le terre ai circa 500 abitanti dell’Asinara per istituire la colonia penale agricola. Gli ex residenti si trasferirono a Stintino, ricreando lì le loro attività tradizionali.
Col carcere nacque anche il lazzaretto, inizialmente sotto il Ministero della Marina. Per decenni l’isola fu amministrata da più ministeri: Marina per i fari, Sanità per la Stazione Quarantenaria, Grazia e Giustizia per la colonia penale e il resto del territorio. L’Asinara diventò così un sistema unico: un’isola interamente funzionale alla detenzione e ai servizi connessi.
Durante il periodo fascista centinaia di soldati etiopi prigionieri di guerra furono deportati sull’isola per quarantena e contumacia. Nello stesso periodo furono costruiti fortini e postazioni di difesa, di cui restano ancora tracce in alcune zone.
Nel dopoguerra la colonia penale agricola tornò a pieno regime: i detenuti coltivavano cereali, orti e vigneti e allevavano bestiame, producendo cibo per detenuti e personale. Negli anni Sessanta l’isola ricevette nuove infrastrutture utili alla gestione carceraria e alla logistica.
Negli anni Settanta arrivarono detenuti considerati ad altissima pericolosità. Proprio questo passaggio segnò l’inizio della fase più nota delle carceri dell’Asinara, quella del supercarcere di massima sicurezza.
Dagli anni Ottanta Porto Torres guidò la battaglia per “liberare” l’Asinara dal carcere e trasformarla in Parco Nazionale, visto il valore naturalistico dell’isola. Si susseguirono convegni, disegni di legge e proteste popolari, fino a ottenere l’inserimento dell’Asinara tra le aree protette nazionali.
Il percorso non fu lineare: dopo le stragi di mafia del 1992 lo Stato ripristinò il carcere duro a Fornelli e trasferì sull’isola detenuti sottoposti al 41-bis, investendo moltissimo in strutture e sicurezza. Solo tra 1997 e 1998, con la partenza degli ultimi agenti penitenziari, l’isola poté avviarsi definitivamente verso la trasformazione in Parco.

Nel luglio 1971 arrivarono i primi detenuti accusati di reati mafiosi. La scelta dell’Asinara, già colonia agricola, generò un duro scontro con Porto Torres, che in quegli anni cercava di ottenere lo smantellamento dell’istituto penale per avviare un progetto turistico e naturalistico.
Nel giro di pochi anni l’Asinara smise di essere solo colonia agricola e diventò un vero carcere di massima sicurezza. I detenuti vennero distribuiti in diverse diramazioni: la più temuta era Fornelli, sede del bunker e del regime più duro. In seguito la presenza di brigatisti e militanti politici aumentò ulteriormente le misure di sicurezza, fino alle rivolte e ai fatti che resero l’Asinara “il carcere più duro d’Italia”.
Questa fase segnò in modo indelebile la storia delle carceri dell’Asinara, preparando il passaggio agli anni del 41-bis nei Novanta.
Tra 1971 e anni successivi l’isola ospitò detenuti legati a Cosa Nostra e ad altre organizzazioni criminali. Dopo il 1992, con l’applicazione del 41-bis, Fornelli venne ristrutturato e destinato ai vertici mafiosi trasferiti per interrompere i contatti con l’esterno.
Tra gli ultimi boss reclusi all’Asinara ci fu anche Salvatore Riina, detenuto nel bunker di Cala d’Oliva fino alla chiusura definitiva della struttura.
Dal 1965 al 1998 si contarono decine di tentativi di fuga. La vicinanza alla Sardegna poteva far pensare a un’evasione facile, ma le coste erano controllate giorno e notte e lo stretto di Fornelli è attraversato da correnti fortissime. Molti detenuti morirono in mare durante la fuga.
La più famosa evasione riuscita fu quella di Matteo Boe, il 1 settembre 1986, con un piano organizzato dall’interno e un gommone pronto a recuperarlo. Dopo la chiusura del carcere, diverse proposte hanno immaginato il riuso delle strutture come museo della memoria: un’idea più volte discussa, ma mai realmente completata.
L'autore
Martina Sanna è nata ad Alghero (SS) il 19/08/1980, si è laureata il 26/11/2008 presso l’Università degli Studi di Bologna in Storia d’Europa-curriculum contemporaneo con una tesi di Laurea dal titolo Fertilia. Una borgata sarda con popolazione giuliano - dalmata. Attualmente frequenta presso l’Università di Bologna un master di secondo livello in Comunicazione Storica. Svolge un tirocinio come archivista presso la Fondazione Cardinale Giacomo Lercaro a Bologna.
SANNA, Martina, «Il carcere dell’Asinara : gli anni del supercarcere», Diacronie. Studi di Storia Contemporanea : il dossier : Davanti e dietro le sbarre : forme e rappresentazioni della carcerazione, N. (1) 2, 2010.
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